In natura, i frutti contengono un imballaggio – la buccia – nella maggior parte dei casi commestibile o per lo meno, biodegradabile. Questo non avviene con i prodotti processati industrialmente e da 70 anni, nel più dei casi, si ricorre alla plastica o mix di polimeri e solventi. L’inquinamento da plastica è diventato un problema enorme. Ci sono milioni di tonnellate di plastica che finiscono nei nostri oceani dove – dopo aver formato interi continenti di plastica (vedi il Great Pacific Garbage Patch al largo delle coste tra la California e le isole Hawai) – si frammenta in particelle della grandezza del plancton e finisce nella pancia degli animali che noi stessi mangiamo.
Ma la plastica sgorga anche dai rubinetti di tutti il mondo: secondo un’inchiesta aperta da Org Media di Washington che ha monitorato rubinetti da New York a Mumbai facendo scoperte sconcertanti. Lo studio ha dimostrato che quasi tutti gli adulti presentano tracce di microplastica nei loro corpi pari alla plastica necessaria per costruire un mattoncino Lego o una carta di credito. Fortunatamente, sempre più persone stanno diventando consapevoli di questo problema e di conseguenza, innovatori, imprenditori e scienziati stanno lavorando insieme per creare soluzioni a questo problema.
Sebbene sia un problema non semplice da superare, la produzione di imballaggi commestibili potrebbe aiutarci a ridurre la quantità di rifiuti. Attualmente ci sono bottiglie d’acqua commestibili (palline) fatte di alghe, plastica biodegradabile, così come ciotole fatte di funghi e posate a base di crusca di frumento, carta da imballo ricavata dalla cera d’api. Tuttavia, ci sono molte sfide che questo settore deve ancora superare come per esempio le normative sull’igiene e conservazione degli alimenti. Insomma per alcuni è meglio ingoiare plastica che utilizzare cibo preservato in packaging naturale.
Bene, ma non benissimo.
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